Attilio Bini
ATTILIO BINI
Seconda metà degli anni ’30, la famiglia Bini faticava a mettere insieme il pranzo con la cena, lavorando i suoi membri come contadini alle dipendenze della Casa Secolare Zitelle di Udine. Attilio, per tutti Tilio, fin da piccolo aveva manifestato la ferma volontà di rinunciare al lavoro nei campi, per andare ad apprendere un altro mestiere, quello di fabbro ferraio.
In gioventù, mentre frequentava un corso serale di disegno, andò ad apprendere il mestiere di fabbro presso la Ditta Fabris di Caminetto di Buttrio, per i cui titolari egli serberà sempre sentimenti di riconoscenza, stima e rispetto.
La guerra e il servizio militare interruppero le aspirazioni e gli apprendimenti quando Tilio aveva solo 20 anni.
Alla fine del conflitto, tornato a casa sano e salvo, riprese in mano il sogno di creare una piccola attività in proprio in cui accogliere altri giovani del paese come “garzoni di bottega” che intendessero intraprendere la strada di fabbro.
La prima sede della farie fu la casa in cui viveva con il resto della famiglia. Egli si era ritagliato una piccola stanza al piano terra con un sistema di raffreddamento del metallo incandescente molto ruspante perché si svolgeva all’esterno grazie ad un rubinetto di acqua corrente con relativo “làip”.
L’attività di Tilio nel periodo post-bellico era strettamente legata all’andamento dell’economia del tempo. La riparazione di attrezzi agricoli e la costruzione ex-novo di quelli tecnicamente meno impegnativi, rispetto anche agli strumenti in dotazione, andava per la maggiore.
All’inizio degli anni ’60 la famiglia cessò l’attività agricola e Tilio si costruì la nuova sede della farie più vicino al centro paese con annessa una piccola casetta per sé e la sua famiglia, che nel mentre era aumentata a quattro componenti.
In linea con la mutata situazione economica, che registrava un maggiore interesse per l’industria a discapito dell’agricoltura, Tilio si occupò sempre meno di attrezzature agricole, per dedicarsi a una forma di artigianato più creativo, in modo da soddisfare il suo desiderio di fare qualcosa che fosse frutto della sua inventiva e delle notti passate in bianco a pensare come riprodurre un particolare oggetto.
Nacquero così splendide forme ornamentali riportate su cancelli, portoncini, recinti e ringhiere, senza dimenticare poi alari per focolari, accessori per “spolerts” e tanto altro ancora.
Col passare degli anni Tilio si dilettò a produrre anche oggetti più sofisticati come lampadari e abatjour in ferro, toilettes e relativi catino, brocca e portasapone, ecc.
La sua acuta sensibilità per la botanica locale lo indusse poi a riproporre in ferro fiori e piante del tutto verosimili: tra parenti e amici non c’era ricorrenza che non lo inducesse a realizzare come bomboniera mazzetti di fiori o grappoli d’uva. Un esempio è il tralcio di vite con due grappoli d’uva, rispettivamente di 21 e 23 chicchi, per il matrimonio del suo figlioccio Enzo De Cecco.
Agli ultimi anni di attività risalgono le due lavorazioni più importanti: la riproduzione in scala dell’orologio del campanile di Buttrio, con la sua particolarità delle ore a rovescio, e la riproduzione di un tralcio di vite a grandezza naturale, data la vocazione vitivinicola che da sempre caratterizza Buttrio.
Raggiunta l’età di pensionamento, Tilio continuò a realizzare per pura passione ciò che lo faceva sentire vivo e utile, nel limite delle sue forze residue.
Come i fratelli De Cecco, Attilio non fu mai esoso nella richiesta dei compensi per il suo lavoro e la corsa al guadagno non fu mai la sua prima aspirazione, era appagato per il solo fatto di forgiare le sue creature e di trascorrere una vita semplice.
LE LAVORAZIONI DI ATTILIO BINI
Nella produzione di cancelli e inferriate per unire i vari componenti non usava la saldatura, bensì la chiodatura o la fascettatura. I chiodi venivano ribaditi a caldo con quattro colpi di martello assestati in rapida successione e con molta precisione. Le fascette, preventivamente tagliate a misura, venivano avvolte a caldo in modo da serrare i componenti da unire.
Gli elementi che costituivano il reticolo dell’inferriata, o del cancello, venivano uniti ad incastro; il tenone si incastra nella mortasa, che può essere un foro passante o cieco. Nel caso di foro passante il tenone può essere ribadito, come avviene negli elementi portanti.
Il lavoro comprendeva anche cardini, serrature con maniglia e cassette per la posta.